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"Politically Incorrect", questo sconosciuto e tanto bistrattato...

Aggiornamento: 2 dic 2024

Viviamo in tempi in cui l’espressione "politically incorrect" è diventata sinonimo di tutto e il contrario di tutto. La si associa spesso a ideologie di estrema destra, a movimenti conservatori o all’onnipresente "alt-right". Ma davvero il politicamente scorretto può essere ridotto a una semplice etichetta ideologica? Noi pensiamo di no. Questa è una definizione limitante e, onestamente, svilente rispetto alla complessità del concetto. Il politicamente scorretto non si esaurisce in slogan, ma è un fenomeno più profondo, con radici nella ribellione culturale e sociale

Quindi, partiamo dalla domanda: politicamente scorretto per chi? Scorretto per il gregge, non per l’individuo! La società, in quanto sistema, è fondamentalmente conservatrice. Il "Sig. Rossi" – o come direbbero gli inglesi, "Joe Public" – ha bisogno di stabilità e di certezze: paga le tasse, pensa al futuro dei figli, si preoccupa per la pensione. Non ha il tempo o l’energia per mettere in discussione il sistema, e così segue mansueto il pastore, come tutte le altre pecore del gregge.

Ma dove ci porterà questo pastore? Questa è una domanda che pochi si fanno davvero. E qui entra in gioco il politicamente scorretto: è quella voce dissonante che disturba la tranquillità apparente, che sfida la morale preconfezionata, quella dei “filosofi da salotto” che discutono di etica mentre i diritti sociali crollano sotto i nostri occhi. Oggi il politicamente corretto sembra avere un nemico dichiarato: il passato. Cambiano le parole dei libri, si proibiscono canzoni, si riscrivono interi pezzi della nostra storia con la morale odierna. ”.  Anche Dario Fo sfidava i limiti imposti dalla morale dominante. Allo stesso modo, si condannano figure storiche come Cristoforo Colombo, etichettato come genocida senza considerare il contesto della sua epoca, vengono usati anacronismi. Addirittura, uno studio recente ha stabilito che Colombo fosse un ebreo sefardita tramite l'analisi del suo dna, come se ciò cambiasse in qualche modo la sua figura storica. Non stiamo forse cadendo nella stessa ossessione razziale che criticavamo nel passato? E poi c’è Dante. Incredibilmente, la Divina Commedia è finita nel mirino perché considerata omofoba. Ma davvero possiamo giudicare un’opera del 1300 con i criteri del 2024? Questo rifiuto di contestualizzare le epoche storiche è pericoloso: non studiamo più Dante perché "politicamente scorretto". E non parliamo nemmeno della censura alla Disney, ai film classici, o del continuo additare chi dissente come razzista, omofobo o peggio. Il risultato? Una polarizzazione estrema, che rischia di trasformare le persone in ciò che si vuole combattere. . E allora, perché il politicamente scorretto è così odiato? Perché mette in discussione le ipocrisie sociali. Ridicolizza l’eccessiva rigidità delle norme. Favorisce la libertà di espressione, stimolando dibattiti su temi complessi che, altrimenti, resterebbero sepolti. Come cantava il Corvo Rockfeller al Festival di Sanremo del 1985: “La pappa non mi va”. Quella pappa, intesa come informazione di regime, è più indigesta che mai. Essere politicamente scorretti non significa essere razzisti o insensibili; significa avere il coraggio di dire che il re è nudo.


Il politicamente scorretto non è una bandiera di fazioni politiche o ideologiche, ma una necessità. È la voce che rompe il silenzio, che non ha paura di urtare sensibilità quando queste si trasformano in gabbie. Ma attenzione: il suo potere va usato con consapevolezza, per stimolare il dialogo e non per distruggere. Perché, se c’è una cosa che la storia ci ha insegnato, è che il conformismo, mascherato da morale, non è mai stato amico del cambiamento. Il politicamente scorretto, secondo noi, è uno specchio che riflette le fragilità di una società che, pur dichiarandosi libera e aperta, vive di limiti autoimposti. Non si tratta solo di non dire una cosa perché offende, ma di una paura più profonda: quella di ammettere che le idee e la morale non sono mai statiche, e se parliamo di verità, questa è sempre tendenziale come ci dice il nostro Benedetto Croce. Queste paure spiegano perché tendiamo a riscrivere il passato anziché affrontarlo: è più semplice cancellare Dante o censurare Colombo che accettare che fossero figli di un’epoca diversa dalla nostra.


Il problema è che, in questa corsa alla correzione, rischiamo di perdere il contatto con la complessità. Chiudiamo la porta a dibattiti e riflessioni che potrebbero insegnarci molto di più rispetto al semplice "giusto" o "sbagliato". Il problema, è inoltre è che l’ironia non viene più accettata come strumento critico. Se fai una battuta su un argomento controverso, rischi di essere etichettato come omofobo, razzista o misogino senza che venga considerato il contesto. Questo non solo uccide il dibattito, ma priva la società di uno strumento prezioso: la capacità di prendersi meno sul serio e affrontare i propri tabù. Una delle derive peggiori del politicamente corretto è il suo trasformarsi in “buonismo”, ovvero la convinzione che basti cambiare il linguaggio per cambiare la realtà.

Ci azzardiamo di scrivere che esiste proprio una tirannia del buonismo! Con questa storta tirannia, anziché affrontare i problemi reali – come la disuguaglianza, la discriminazione o la povertà – ci limitiamo a creare regole su cosa si può dire e cosa no. Ad esempio, vietare certe parole nei libri o cambiare i testi di una canzone per renderli “inoffensivi” non elimina la discriminazione, né aiuta chi ne è vittima. Serve piuttosto una riflessione culturale profonda, che non può nascere senza la libertà di esprimere anche le idee scomode. Forse il vero punto è questo: il politicamente scorretto è sempre stato il motore della controcultura. È ciò che ha spinto generazioni di artisti, pensatori e ribelli a sfidare l’ordine costituito. Se oggi ci sentiamo liberi di parlare di certi temi – diritti civili, parità di genere, giustizia sociale – è anche grazie a chi, in passato, è stato politicamente scorretto. Ma dobbiamo ricordarci che ogni controcultura diventa, prima o poi, parte della cultura dominante. E a quel punto, rischia di diventare a sua volta dogmatica. Forse il vero spirito del politicamente scorretto è questo: ricordarci di mettere in discussione anche i nuovi dogmi.



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